La sostenibilità nell’industria della moda
Il consumo tessile globale è stimato in più di 30 Milioni di tonnellate all’anno con forti impatti sulla società e sull’ambiente. Le problematiche legate alla sostenibilità sono quindi cruciali nell’industria della moda.
Secondo la World Commission on Environment and Development, è sostenibile ‘quello sviluppo che incontra i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la capacità delle generazioni future di incontrare i propri bisogni’[1]. Un nuovo concetto di sostenibilità[2] consiste nel valutare tre aspetti, la società, l’ambiente e le performance economiche. La Sustainability Society Foundation (SSI) ha definito i tre aspetti come: il benessere umano che fa riferimento alle performance sociali che includono i bisogni primari, lo sviluppo personale e una società ben bilanciata; il benessere dell’ambiente che include un ambiente sano e risorse climatiche, energetiche e naturali; il benessere economico che è collegato con le prospettive per il futuro, il lavoro e di conseguenza l’economia[3]. È vitale che le aziende nel settore della moda sviluppino una filiera produttiva sostenibile che copra tutti e tre gli aspetti descritti.
Invece molti noti marchi per perseguire l’obiettivo di tenere bassi i costi di produzione hanno una scarsa considerazione dell’ambiente specialmente nei paesi in via di sviluppo dove anche la normativa al riguardo è spesso inadeguata.
Eppure, l’impatto che il mondo della moda ha sull’ambiente è enorme; i consumatori stessi sono divenuti consapevoli di questo e chiedono alle firme di moda una maggiore attenzione. L’inquinamento ambientale generato dai processi produttivi riguarda principalmente l’utilizzo di prodotti chimici, di grandi quantità d’acqua e pesticidi. La banca mondiale ha stimato che circa il 20% dell’inquinamento acquifero deriva dal mercato della moda.

Il dilemma della sostenibilità nel tempo sospeso
L’interesse attorno al tema del fashion sostenibile era già alto prima del Covid-19 ma da quando l’emergenza sanitaria locale è diventata pandemia, l’attenzione al tema della sostenibilità è cresciuta.
Secondo un articolo pubblicato da Forbes[4], il collegamento è semplice: un pianeta malato porta ad avere persone malate e l’industria della moda non può permettersi di rendere il pianeta ancora più malato di quello che già è, ma, al contrario, può agire concretamente per rendere il pianeta più sano contribuendo al raggiungimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile[5] definiti dalle nazioni unite.
Il fatto è che a causa della emergenza sanitaria il settore della moda ha visto calare dal 40% fino al 70% le vendite per cui, in un momento in cui sarebbe prioritario investire nella sostenibilità, proprio la sostenibilità del settore finisce all’ultimo posto nella lista delle priorità.
Eppure, nella crisi che stiamo vivendo un messaggio tra tutti è passato: le azioni individuali hanno degli impatti globali sulla società.
Ma come rendere per il consumatore sostenibile dal punto di vista economica le scelte di sostenibilità di aziende nel mercato della moda che devono affrontare degli investimenti importanti per adeguarsi a fronte di ingenti perdite di fatturato?
Il dilemma della sostenibilità nel tempo sospeso.
I dati ci indicano che i consumatori nei prossimi mesi avranno una minore disponibilità economica da spendere in fashion. D’altro canto, questi mesi di immobilità hanno drammaticamente modificato la loro scala delle priorità: i consumatori saranno più selettivi e consapevoli, tenendo in maggiore considerazione la qualità, il valore e la sostenibilità dell’abbigliamento che andranno ad acquistare. Verranno quindi privilegiati quei marchi che daranno fiducia al consumatore e nei quali il consumatore potrà ritrovare l’attenzione al bene comune che egli stesso ha portato avanti con sacrificio in questi mesi.
È un cambio di prospettiva che l’industria della moda deve tenere in grande considerazione per assicurarsi il proprio business futuro.
Un nuovo modello di business trasparente sulla sostenibilità
Il 30 aprile del 2020, il Boston Consulting Group (BCG), la Sustainable Apparel Coalition (SAC) e l’azienda Higg Co hanno annunciato la pubblicazione di un documento[6] che mette in evidenza come la sostenibilità nel mondo della moda sia a rischio nell’epoca del post covid-19 e come sia necessario mettere a punto un framework per la fase di ricostruzione che elevi il ruolo della società e dell’ambiente all’interno di strategie resilienti di business.
Dal documento emergono quattro principi fondamentali, due dei quali riguardano la sostenibilità: la sostenibilità sarà un imperativo per aziende forti nel dopo crisi e verrà messa al centro dei processi decisionali; le aziende dovranno trovare il modo di avvantaggiarsi della digitalizzazione, di modelli di business innovativi e di soluzioni end-to-end efficaci avendo la trasparenza come valore primario per poter mostrare ai consumatori un impegno costante nel creare impatti positivi sull’ambiente e sulla società. La pandemia ha forzato tutti a fare un passo indietro e a rivedere le nostre priorità. Una lezione che abbiamo imparato è che c’è la necessità condivisa di un nuovo modello di business trasparente che renda visibile a tutti le scelte sostenibili di ogni azienda.
Alcune aziende come Levi’s, tra le prime che si sono interrogate sul tema della sostenibilità nell’industria della moda, si stanno già chiedendo come potranno produrre con profitto tenendo fidelizzati i propri clienti con un modello di business che miri a far durare i prodotti acquistati più a lungo. Alcune soluzioni potranno essere fornire servizi di riparazione che rendano i capi preferiti ‘immortali’ o fornire mercati paralleli di riutilizzo, la condivisione e il noleggio dei capi più costosi e di valore.
Il ruolo della generazione Z
I nati tra la seconda metà degli anni ‘90 e il 2000, la generazione Z, ritengono che le aziende abbiano una grossa responsabilità nel gestire le problematiche ambientali e sociali. “Compra meno ma compra meglio’ è il motto della generazione Z che, come recenti ricerche indicano, lascia sperare nella fine del fast fashion. Se i valori e le abitudini della generazione Z fossero condivisi da tutto il resto della popolazione potremmo essere testimoni di un cambiamento radicale nei consumi che porterebbe ad abbandonare l’approccio consumistico a vantaggio di scelte più oculate, di valore e durature fino ad arrivare al concetto di ‘guardaroba condiviso’. Per la generazione Z non è tanto importante quello che si indossa, quanto fare delle scelte che più riflettono la propria identità

Conclusioni
È quindi quanto mai necessario promuovere la produzione di qualità che dura nel tempo. Lo slow fashion, la produzione handmade in Italy e l’utilizzo di tessuti sostenibili possono contribuire a ridurre gli sprechi, le violazioni dei diritti umani e l’impatto ambientale del mondo della moda.
[1] World Commission on Environment and Development. Our Common Future; Oxford University Press: New York, NY, USA, 1987.
[2] “Triple Bottom Line” Elkington, J. Enter the triple bottom line. In The Triple Bottom Line: Does It All Add up? Henriques, A., Richardson, J., Eds.; Earthscan: London, UK, 2004; pp. 1–16.
[3] Sustainable Society Index. Disponibile online all’indirizzo:http://www.ssfindex.com.
[5] https://www.un.org/development/desa/disabilities/envision2030.html
Bibliografia
https://www.mdpi.com/2071-1050/6/9/6236/htm#B16-sustainability-06-06236
Socio fondatore di i4Consulting Srl, si occupa di Project Management e Business Analysis sia in ambito pubblico sia in ambito privato.
Responsabile della comunicazione per NEstReward.
Segretario nazionale dell’IIBA Italy Chapter e direttore aggiunto del Branch Veneto del PMI-Northern Italy Chapter.